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Da Cohen a Berlusconi, passando per Rawls e il calcio

Uno dei meriti delle critiche mosse da G.A. Cohen alla teoria di Rawls è sicuramente il fatto di avere provocato, per reazione, una rinascita dell’interesse da parte della “scuola Rawlsiana” nei confronti della cosidetta “pubblicità” della giustizia  (si veda ad esempio A. Williams Incenvites, Inequality, and Publicity, di cui trovate una copia “piratata” nel box sul lato destro).

L’aspetto della pubblicità a cui mi riferisco riguarda, potremmo dire, la visibilità della giustizia, non la sua giustificazione. La questione della visibilità della giustizia ha a che vedere con il fatto che l’oggetto della giustizia sia un sistema pubblico di regole. Le regole devono essere tali che non sia troppo difficile per le parti interessate trovarsi d’accordosul fatto che le regole siano state o meno rispettate. E’ una pretesa intuitiva se si concepisce la società politica come  il frutto di attività basate su regole condivise.  In qualsiasi gioco o altra attività basata su regole, è’ evidente che sia auspicabile che tale pretesa sia soddisfatta. I giochi non riescono bene se le regole sono tali che l’esecuzione del gioco risulta compromessa dal dubbio che le regole siano generalmente rispettate, in quanto ciascun giocatore non è in grado di stabilire se altri le rispettino.

Mentre scrivevo questo paragrafo del libro a cui sto lavorando, mi veniva in mente la terribile analogia tra il modo in cui il gioco della giustizia e il gioco del calcio vengono vissuti in Italia, o, per dirlo altrimenti, all’analogia tra il processo di Biscardi e il dibattito pubblico sui processi che riguardano il nostro premier. In entrambi i casi in questione si tratta di un gioco che non funziona, perché per le parti interessate sembra così difficile mettersi d’accordo sul fatto che le regole siano state o meno rispettate.

Viene da pensare che il fallimento della pubblicità in questi casi non abbia a che fare più di tanto con la natura delle regole (dopotutto il calcio viene giocato con le stesse regole più o meno in tutto il mondo) ma con un fattore caratterizzante di tipo antropologico-culturale. Solo che a pensarla così si finisce per diventare razzisti verso il proprio paese, cioè verso sé stessi…

Per una conclusione più filosofica… viene da pensare che la pubblicità non sia un requisito assoluto, ma relativo. Infatti anche Rawls pretende che la pubblicità sia tale per parti in gioco “ragionevoli”. Quindi la teoria di Rawls non può essere applicata all’Italia?